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Fu l'avventura di Peschiera che scatenò l'uragano, occupata di sorpresa dagli Austriaci di Beaulieu il 26 maggio come res nullius, tanto che il Beaulieu stesso agli ufficiali veneti inviati a protestare per questa rapina non si faceva scrupolo di dire: "che lorquando le ragioni di guerra fanno credere necessaria una cosa a chi la tratta... non valgono le deboli ragioni del diritto e vengono sforzati a tacere tutti i riguardi"(265).
Al danno si aggiungevano dunque l'ironia e le beffe.
Nella notte del 27 alla rapina di Peschiera seguì la violenza della Chiusa d'Adige. Prima dell'alba del detto giorno si era presentato davanti a quella fortezza un gruppo di ufficiali austriaci accompagnato da una colonna di fanti, per imporre al governatore veneto Bajo di aprire le porte. Questi rispose dal chiavesin(266) che quello "non era il luogo di passaggio e retrocedessero perciò a Loman, ma gli ufficiali austriaci insistettero dicendo di aver lettere di somma premura da consegnare alla posta di Volargne, dirette a Verona". Sorpreso nella buona fede l'ingenuo Bajo introdusse allora gli ufficiali austriaci dentro la Chiesa ma, "nell'aprire le bianchette erano appiattati i soldati, che sforzarono il chiaverino e si introdussero in più di duecento in fortezza, senza il minimo sconcerto" (sic).
Così cominciò per la Serenissima il tristissimo calvario dei disinganni, delle estorsioni e delle usurpazioni, senza forza di ribellarsi al tormento del martirologio, senza fede per trovare in sè medesima un'ultima stilla di energia capace di abbreviarlo con una scossa suprema.
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