Era il destino che fatalmente ed implacabilmente si compieva sopra un organismo fiaccato dagli anni e rassegnato a morire.
L'occupazione di Peschiera da parte degli Austriaci fornì a Buonaparte buon argomento per esigere un vistoso compenso nell'occupazione di Verona - necessaria alla sua manovra con la linea dell'Adige e Legnago - non appena i Francesi ebbero forzata la linea del Mincio (30 maggio).
In questo intento Buonaparte apparecchiò una di quelle rappresentazioni a tesi delle quali egli era maestro. Atterrì il Foscarini minacciando d'incendiare Verona, poi sembrò placarsi, "purchè vi entrassero le sue truppe, occupassero i tre ponti sull'Adige traversando la città e lasciando guarnigioni sugli stessi, fino a che le ragioni della guerra lo esigessero". Il 1° giugno infatti una colonna di 20,000 Francesi capitanata dal generale Massena si affacciò alla Porta di San Zeno e penetrò in città minacciando l'uso della forza in caso di resistenza(267).
Così cominciò la spoliazione della Repubblica che doveva avere il suo classico epilogo ai preliminari di Leoben. Ma siccome per il momento conveniva osservare ancora qualche parvenza di riguardo verso la Serenissima - che pur non era ancora radiata dal novero degli Stati - così, di buon accordo, si decise di continuare nella serie delle reticenze parziali, delle contraddizioni, delle umiliazioni e delle figure artificiose, come per ingannare l'estrema ora che stava maturando. La speranza, dopo tutto, è sempre l'ultima dea a sgombrare dall'orizzonte.
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