In tale sfera di cieche confidenze, di ostentate omissioni, di trascuranze ignobili, la milizia veneta si era appartata dal grande organismo dello Stato, come vergognosa di essere, come desiderosa di vivere semplicemente tollerata. E decadde ed intisichì in questo abbandono come una pianta selvatica e parassitaria.
Quando la vecchia Repubblica fu destata dal lungo sonno dal rumore delle armi nemiche sopra il suo suolo abbandonato alla mercè dello straniero, essa cercò invano le armi proprie, ma non le trovò più, perchè ben diceva Giacomo Nani che: "non vi può essere piano militare che sia acconcio a combattere una malattia puramente di ordine morale e politico"(273).
Così la Serenissima, ostinata nel negare al proprio esercito quelle riforme che l'avrebbero potuto salvare dalla rovina, lo aveva reso organicamente un anacronismo, economicamente uno strumento di dissipazione del pubblico danaro, militarmente un istituto incapace di esplicare una forza qualunque. Esso poteva perciò rassomigliarsi ad una personificazione grandiosa della statua di Laocoonte, paralizzata dai molteplici intralci e viluppi dell'amministrazione faragginosa dello Stato, sfibrata dalla specializzazione delle autorità, dai controlli e dalle consorterie, schiacciata dalla sovrapposizione delle autorità, dal bagaglio opprimente di un immenso macchinario di pubblici poteri.
In questi intralci delle energie e delle volontà, in questa atrofìa degli organi motori dell'amministrazione di Stato, il mercenarismo potè sviluppare l'intera gamma delle proprie caratteristiche, fino alle conseguenze estreme.
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