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      Molte donne prese dalla vertigine del terrore, cercarono scampo perfino dalle finestre e si fracassarono il cranio sul lastrico.
      L'aspetto di Parigi in quella notte, se si fosse potuto vedere da una terrazza, doveva essere tale epopea di spavento e di grandioso orrore, che alcuna favella non può riprodurre. L'incendio contemporaneo delle Tuileries, del Consiglio di Stato, del Louvre, della Prefettura, del palazzo di Giustizia, del palazzo reale e del Ministero!
      Due quinti di Parigi dopo due giorni e due notti di combattimento accanito giacevano però ancora sotto il dominio della Comune.
      V'erano da domare i quartieri i più intrepidi, i più formidabili. Erano i quartieri dove il popolo regnava fiero della sua barricata che voleva difendere, e della preziosa indipendenza che voleva tutelare. Ivi il prete non ha presa: la donna non teme i nervi, il fanciullo, il terribile gamin che non comprende cosa sia la paura, fa del pericolo il suo giuoco prediletto.
      Per impossessarsi di questo campo trincerato della rivoluzione, Mac-Mahon ha dovuto fare, nè più nè meno, che un piano di battaglia. Dei quattro corpi di esercito entrati a Parigi, quello di Ladmirault si avanza per le alture del Nord.
      Un proclama di clemenza avrebbe forse arrestato lo sterminio; ma la parola clemenza era delitto di Stato, e il signor Thiers, che l'aveva sulle labbra forse, ha dovuto ringhiottirla.
      Non si trattava dunque che di continuare ad aprirsi la via col cannone, e rovesciare gli ostacoli, qualunque si fossero, barricate, case tramutate in fortezze, uomini, innocenti o rei.


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Gli incendiari della Comune
di Ulisse Barbieri
Legros Felice Milano
1871 pagine 143

   





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