La sera del 25 il cielo era ancora rosso di un altro incendio; i magazzini di ambulanza ardevano. Gli Incendiari cosmopoliti, come dicevano i giornali e come il pubblico ripeteva, vi avevano dato fuoco.
Infrattanto si ristabilivano batterie di grosso calibro sulle vette di Montmartre e si bombardavano le posizioni dei federali la cui resistenza era ormai divenuta impossibile.
Fu una di quelle lotte terribili di barricata in barricata, di casa in casa, da cui la penna rifugge con orrore.
Vi furono fucilazioni in massa per parte della truppa, a cui i federali risposero colla fucilazione orrenda degli ostaggi. Furono arsi confini pubblici, case private... Dal terreno su cui i soldati avanzavano portando la morte, i federali cadendo, lasciavano la distruzione. Il fuoco veniva dopo la strage, ed all'igneo chiarore delle vampe potevasi vedere in un'onda di sangue un convulso dibattersi di membra palpitanti.
La Comune cadeva e l'ordine inalberava sulle rovine di Parigi la sua bandiera vittoriosa. I soldati di Metz e di Sedan fuggiti ed arresisi a centinaia di migliaia in faccia alle schiere prussiane avevano operati prodigi di valore, come spudoratamente annunciavano gli ordini del giorno di Thiers.
Le strade di Parigi erano così ingombre di cadaveri che si pensò con terrore cosa si dovesse farne di tutta quella carne mitragliata e sgozzata. Si propose di arderla.
I soldati non potevano occuparsi di quei morti. Si occupavano nell'uccidere ed avevano troppo da fare. Un ufficiale arrestava il primo che gli capitava fra le mani; qualcuno non aveva che da dire: È uno della Comune, ed era tosto fucilato.
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