Di là dall'aia, e proprio di rincontro al portone, si dilungava un pergolato, che risaliva tra due file di pilastri sul fianco della collina.
- Dovrebbe esser qui; - disse il più vecchio dei due, uomo intorno ai sessanta, dal volto abbronzato e dalle membra poderose, strette in un farsetto di pannolano, su cui era buttato alla scapestrata un corto mantello. - Questa veduta risponde benissimo a ciò che vi ha detto il magnifico messere Ambrogio Senarega. C'è il terrazzo colla pergola, c'è la frasca sull'uscio, il viale coperto in fondo dell'aia....
- E l'insegna che dice tutto! - interruppe il compagno, d'una ventina d'anni più giovine e più nobilmente vestito. - Vedi, Picchiasodo; qui sul portone sta scritto a lettere da speziali: "Fermatevi all'Altino; c'è buona l'accoglienza, e meglio il vino."
- L'oste si vanta; - rispose il Picchiasodo; - ma gli darò io una ripassata al suo vino, e se non mi va, il primo pezzo di muro che mando a rotoli, vuol esser questo, dov'egli ha posto l'insegna. -
Intanto, erano entrati sotto il portone.
L'oste, faccia contenta e grulla (così almeno portava l'apparenza), si fece innanzi premuroso, con un ragazzone e una nidiata di bambini alle spalle.
- Entrate, magnifici messeri! - gridò egli, cavandosi umilmente la berretta e mettendo inchini su inchini. - Maso, piglia i cavalli e conducili in istalla.
- No, non occorre: - disse il più giovine dei due viaggiatori, che in quel mezzo scendeva d'arcione.
- Metteteli soltanto al coperto; ci si ferma per poco.
- E se il tuo vino non è buono, si parte subito!
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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