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      - Sta bene; e tu piglia questo per l'opera tua; credo che basterà. -
      Così dicendo, messer Pietro gli pose in mano un genovino d'oro.
      - Corbezzoli, se basta! - gridò l'ostiere, facendo tanto d'occhi a quel lucicchìo. - Tornateci domani, sul conto, e doman l'altro, se vi piace; l'Altino è vostro, messere.
      - Se non ci avesse a costare che questo, - borbottò il Picchiasodo, - e' sarebbe a straccia mercato. -
      Il genovino d'oro, valeva allora quindici grossi, che erano intorno a tredici lire della nostra moneta presente, ma che, fatto il conto dei tempi diversi e dei mutati prezzi delle derrate, potrebbero ragguagliarsi al doppio di questa valuta. E ciò spieghi la meraviglia della contentezza di mastro Bernardo; il quale si avviò gongolante all'abbaino, per dove era già scomparso il ragazzo.
      - Che matrimonio ha da essere! - andava dicendo l'ostiere tra sè. - Non è più di primo pelo, ma e' ci ha un'ariona da principe, questo messere.... A proposito; la Rosa mi aveva pur detto il suo nome! Tamburlano? No. Canterano? Nemmeno. Certo comincia in ca.... Vediamo un poco!
      Messer Pietro si era mosso dalla tavola, alla volta del murello, e pareva volesse dare un'ultima occhiata al paese. Picchiasodo, da uomo più materiale, era ancora al suo posto, e mostrava cogli atti di voler vedere il fondo all'orciuolo del vino.
      - Scusate, messere; - disse mastro Bernardo, avvicinandosi a lui; - il nome del vostro compagno?
      - Perchè? - dimandò il Picchiasodo, inarcando le ciglia.
      - L'ho sulla punta della lingua; - prosegui mastro Bernardo, senza badare al piglio scontento di quell'altro.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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