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      - Questo è il caso nostro; eccoti la sorte serbata a noi, boni homines, uomini liberi, sotto la signoria dei nobili discendenti di Aleramo. Non entro in tutte le miserie, a gran pezza più gravi, dei servi della gleba a delle mani morte, taglieggiabili a misericordia, cioè, a dire, fin dove piace ai nostri magnifici signori di aggravare il summum jus del loro talento. E servi, come siamo, tenteremmo di pareggiarci ai nostri padroni, di entrare, puta caso, in parentado con essi? Alla men trista, se siamo giovani, di bell'aspetto e di buona voglia, possiamo riuscire donzelli, o scudieri, meritarci le grazie segrete d'una annoiata castellana e le segrete prigioni e i trabocchetti d'un castellano rabbioso. Ora, io non son bello, nè giovane, e non ho voglia di mettermi in questi ginepreti. Il mio esempio t'insegni; la mia filosofia ti persuada, o Giacomo Pico, e ti basti l'essere meglio accetto di me, ma sempre come soggetto, ai signori del luogo. A noi tocca di obbedire, e gran mercè se si può farlo men che si può. I nostri diritti di signori esercitiamoli sui casolari; non c'impuntiamo a voler l'impossibile. Di belle ragazze, e meglio in apparenza che non sia la giovine castellana, è pieno il Finaro. Vedi, a me piace due cotanti di più la Gilda, la nipote di mastro Bernardo; e se non fossa che le buone grazie di madonna Bannina e della sua smancerosa figliuola l'hanno fatta montare in superbia....
      - Anche su quella avevi posto gli occhi? - dimandò Giacomo Pico, meravigliato di tanta facilità amatoria del suo faceto compagno,


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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