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      E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora,
      Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll'orecchio teso in ascolto.
      - Cavalli! - soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo.
      - Cavalli, sicuro; - disse di rimando Tommaso; - e poi?
      - Non hai indovinato? Son essi.
      - Essi? Pronome, e nient'altro; - ripigliò il Sangonetto; - io non t'intendo.
      Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.
      - I cavalieri di questa mane; - aggiunse egli poscia; - il conte d'Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.
      - Ah, ah! - sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente sull'orma. - Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che, giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in fede mia, non sarebbe cortese.
      - Ma! che ne so io? - rispose Giacomo Pico. - D'una cosa son certo; che sono costoro. Me lo dice il cuore.... - aggiunse con accento di profonda amarezza. - Seguimi; or ora vedrai.
      E senz'altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il Sangonetto fu pronto a seguirlo.
      Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro, messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s'è sciolto d'ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla posta.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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