A Giacomo Pico la vista del pił giovine dei due cavalieri diede una scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo nimico giurato. E gli prese in quel punto una maledetta voglia di buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di finirlo d'un colpo.
La via era stretta, e, per andar oltre, con quell'intoppo dei due sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi innanzi da solo.
Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell'altro.
Senza por mente all'effetto che cagionava la sua presenza, messer Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e pił ancora per la contentezza del momento, nell'atto di cansarsi col suo palafreno dai due viandanti, fece un gesto a mo' di saluto, che certo credeva gli fosse ricambiato in quel punto.
Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e, afferrando lo redini del cavallo, salutava il suo avversario con queste parole:
- Messer cavaliere, mi consentite voi pochi istanti di colloquio? -
CAPITOLO IV.
Nel quale si veda messer Pietro perdere la pazienza, il Sangonetto la ciarla, il Picchiasodo l'occasione, Giacomo Pico il tempo e mastro Bernardo la scrima.
All'atto insolito e inaspettato, il primo pensiero di messer Pietro fu di metter mano alla spada e di castigar l'arrogante che ardiva afferrare le redini del suo palafreno.
Senonchč, a lui, come un giorno ad Achille, la sapiente Minerva dovette susurrar qualche cosa nell'orecchio.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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