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      Frattanto i due avversarii, che giā stavano colle spade sguainate, si fecero in mezzo dell'aia, pronti a impegnare il combattimento.
      Giacomo Pico ne aveva una voglia spasimata. Cosė almeno mostravano gli atti impazienti e le contrazioni del volto. Messer Pietro era a gran pezza pių calmo, e la faccia atteggiata al sorriso dinotava, non pure il disprezzo del pericolo, ma eziandio la certezza della vittoria. E la pugna in sč stessa e l'occasione dond'era venuta, parevano cosa da scherzo per lui. Certo il valentuomo s'era trovato pių volte a simili scontri, fors'anco a pių gravi, e quello doveva parergli la cosa pių naturale dal mondo.
      Incrociarono le spade. Ma era scritto lassų che il combattimento non dovesse aver principio cosė presto.
      Un grido li rattenne in quel punto e li costrinse a smettere. Era mastro Bernardo che compariva sull'uscio di casa, col vassoio de' bicchieri in una mano e col suo fiasco prezioso nell'altra. Mai fiasco e bicchieri furono raccomandati a pių trepide mani, e ben se ne avvide il Picchiasodo, che, voltatosi a quel grido improvviso, fu sollecito a sostenere que' dolcissimi pesi.
      - Per amor del cielo, messeri, che vuol dir ciō? - chiese l'ostiere, con voce tremebonda.
      - Animo, via, mastro Bernardo! - entra a dirgli il Picchiasodo, con quel suo piglio burlesco. - Non si sforacchiano mica le tue botti, nč la tua pancia, perbacco!
      - Oh, Gesummaria! che cos'č stato? Ah capisco, ora! - soggiunse il povero oste, ricordandosi. - Messer Giacomino.... Ah, maledetta lingua!


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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