- È tardi, e dobbiamo guadagnare il tempo perduto; - diss'egli al Picchiasodo, che fu pronto a seguirlo.
Indi, accostando il cavallo alla panca su cui era adagiato Giacomo Pico, e fatto della mano un cortese saluto al suo avversario, gli disse:
- Messere, io vo' aiutare al vostro risanamento, più efficacemente che non abbia fatto Anselmo Campora, detto il Picchiasodo, capo de' miei bombardieri. Se voi foste stato più calmo quest'oggi, avreste di leggieri capito che chi viene per tornarsene subito indietro, non è certamente uno sposo.
- Che? come? - farfugliò il Sangonetto.
- Ah! - sclamò in pari tempo il ferito rizzando il capo e volgendo al suo vincitore uno sguardo da cui trasparivano in pari misura la curiosità e lo stupore.
- Sicuro; - ripigliò il cavaliere; - e avrei amato dirvelo, se non mi aveste sbarrata la strada e afferrate le redini del cavallo, cosa che non mi ha mai fatto impunemente nessuno. Ma basti di ciò. Avete incrociato il ferro con Pietro Fregoso, capitano dei genovesi all'impresa del Finaro. Se la vostra mala, sorte vi fa cadere in balìa dei nemici, ricordate che la tenda del capitano è un fraterno rifugio per voi, e che non vi bisogna riscatto. -
Con queste parole si accomiatò messer Pietro dall'osteria dell'Altino; indi, spronato il cavallo, si mosse verso l'uscio di strada.
Fu quello un colpo di fulmine a ciel sereno. Giacomo Pico sbarrò gli occhi, volle parlare, ma la commozione fortissima gli fece nodo alla gola. Balbettò alcune parole vuote di senso, e ricadde svenuto nelle braccia di Tommaso Sangonetto, che era rimasto mutolo, guardando ora il Fregoso, ora il Picchiasodo, ora l'ostiere.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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