- Maledetta lingua! - borbottò egli tra i denti.
E borbottò ancora di più, quando, sotto pretesto di cercargli il vino che non aveva, quei furfanti si sparpagliarono qua e là per la casa, sguisciarono in cantina e gli sfondarono le botti, che non ci avevano colpa.
Per contro, siccome ogni ritto ha il suo rovescio, mastro Bernardo ebbe in quel medesimo giorno vendetta allegra di tanto dispetto. Sui prati dell'Altino, il Vecchi da Lodi si scontrò nei soldati del Finaro e lì, fino a tarda sera, altro che botti sfondate! Cento cinque genovesi restarono, tra morti e feriti, sul campo. Dei Finarini, che erano appostati in luoghi eminenti, o coperti, pochi furono feriti, e questi dalle cerbottane, coi lor tiri di rimbalzo e lontani.
San Giorgio, come si vede, tirava innanzi a dormire.
La mattina vegnente, il Vecchio Calabrese co' suoi duecento uomini andava in aiuto al Vecchia di Lodi, e ambedue, con impeto temerario, s'inoltravano fin sotto le mura del Borgo. Simili spacconate eran comuni in que' tempi. La grande mobilità delle fanterie leggiere, e la nissuna delle nuove artiglierie, che sole avrebbero potuto tenere in rispetto gli audaci, consentivano di correre molto paese innanzi e indietro, senza fare e senza ricevere gran danno. Questo, come disse il poeta, "era il costume dei braveggiatori, che fan poche faccende e gran rumori."
Senonchè, stavolta i braveggiatori s'erano spinti troppo sotto, e balestroni, e spingarde, e cerbottane (che anco di quest'armi da fuoco ne aveano qualcheduna al Finaro) mandarono un tale diluvio di roba assaettata sui malvenuti, che questi furono costretti a voltar le calcagna, e molti, anzi, non fecero a tempo.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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