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      Ma di queste e d'altre maggiori perdite d'uomini, poco importava al capitano generale. Con simili scascamuccie e affrontamenti quotidiani, egli teneva a bada il nemico, e, meglio ancora, lo aveva sempre sotto la mano; frattanto serrava i panni addosso a quelli altri che difendevano Castelfranco.
      Nello spazio di otto giorni, la signora Ninetta e le due altre comari che le facevano compagnia, gittarono su quel povero baluardo la bellezza di cento sessantatre nespole. Per una bombarda, a que' tempi, sei o sette colpi al giorno erano un bel trarre, e ne ho detto le ragioni più sopra. Le mura erano così profondamente scombussolate, che non poteano più reggersi; e ad ogni nuovo colpo ne crollavano con alto frastuono larghissime falde. Già sui parapetti e lungo i ballatoi non si poteva più stare.
      Come il Fregoso vide in tal guisa avviato il lavoro del Campora, mandò sotto le mura un araldo. Allo squillar della tromba, Antonio Del Carretto, il difensore del castello, si affacciò sulle macerie.
      - Per comando dell'illustrissimo capitano generale dei Genovesi, messer Pietro Fregoso, vi è intimata la resa; - disse l'araldo; - fatelo, e sia pel vostro meglio; se no, tra due ore si dà la scalata e non isperi allora di aver salva la vita nessuno.
      - Di ciò non mette conto parlare; - rispose Antonio, con piglio tra non curante e faceto. - La guerra è cosiffatta, e cui non garba il giuoco stia co' frati e zappi l'orto. Dite piuttosto, che patti ci fa il vostro capitano, se noi si rende questo mucchio di pietre?


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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