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      - Libera uscita, - soggiunse l'araldo, - e portando tutti con voi le armature; ciō consente messer Pietro Fregoso, in segno d'onoranza al valore. -
      Il bravo Antonio rimase un tratto sopra pensiero. Gli cuoceva di dover cedere e tuttavia ben vedeva di non poter resistere pių a lungo. Per sč, avrebbe forse rifiutato; ma il patto era onorevole pe' suoi compagni, e certo, poichč la difesa avea toccato agli estremi, meglio valeva portare a Galeotto cinquanta animosi soldati, che seppellirglieli sotto le rovine d'un castello perduto.
      Cosė pensando, chiese ancora che gli si concedesse tempo fino al giorno di poi; avrebbe reso il castello, se nello spazio di ventiquattr'ore non gli giungeva soccorso. Messer Pietro gli fu tanto cortese da recarsi egli in persona sotto le mura, per rispondergli che non poteva contentarlo. Galeotto era chiuso nel Borgo e i Genovesi padroni della vallata; cedesse adunque, accettasse i patti larghissimi da lui consentiti a un cosė prode nemico, e co' suoi occhi medesimi, nel tragitto dalla Marina al Borgo, si sarebbe sincerato della sfidata condizione in cui era.
      Antonio ben vide che non gli restava altro scampo e si arrese. Ebbe all'uscita tutti gli onori che un esercito vittorioso potesse rendere al valore sfortunato, e mentre nel campo di San Fruttuoso le bombardelle e i falconi facevano gazzarra per questo primo trionfo delle armi genovesi, egli si ridusse malinconico al Borgo, coi suoi sessanta compagni, la sera del 18 gennaio.
      - E uno! - aveva detto il Picchiasodo, palpando amorosamente il collo della signora Ninetta mentre i difensori di Castelfranco passavano muti e dimessi davanti alla loro capitale nimica.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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