Il Calvisio, non potendo altro, s'impadronì d'una galeotta che que' del Borghetto tenevano ormeggiata alla riva, e preso il largo, avvistò otto feluche genovesi, le quali portavano vettovaglie all'esercito. Qui, senza darsi un carico al mondo della galèa nimica che incrociava su que' paraggi e che doveva essere in quel mentre nelle acque d'Albenga, navigò incontro ai nuovi venuti, e, fingendosi mandato dal sopracòmito della anzidetta galèa, li condusse a pigliar terra dov'egli voleva; così impossessandosi delle vettovaglie destinate al nemico e introducendole, per la via di Verezzi, nel Borgo Della qual cosa non è a dire come gli fosse grato e gli dèsse lode il marchese Galeotto, prode tanto egli stesso e largo di encomio coi prodi.
Ora, innanzi di seguire quest'ultimo, vediamo Giacomo Pico che quel cicalone di Tommaso Sangonetto s'ingegna di consolare a modo suo dei rigori della sorte.
- Così è, Giacomo mio, siamo vassalli e bisogna recarsela in pace. Son essi i padroni, noi gli umilissimi arnesi. Serviamo al caso loro? Ci adoprano e ci hanno anche talvolta per la man di Dio, nel più forte delle loro necessità. Non serviamo più a nulla? Ci buttano in disparte, o si ricordano di noi, com'io delle prime calze che ho smesso. Che forse c'è mestieri di gratitudine(10) con noi? Che importa a lui del tuo valore, a lei dello tue smanie amorose? Egli è il tuo signore, intendi uccel di rapina; ed è suo, tutto suo, quanto egli vede dall'alto di questa rupe allo intorno; ella, poi, nasce dal padre; uccel di rapina anche lei, e uno spicchio di cuore sanguinolento è il pasto più gradito a questa cara aquilina.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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