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      Al Fregoso queste continue sortite degli assediati davano una molestia incredibile e direi quasi superiore alla loro importanza. In fondo in fondo, non recavano molto sollievo alla terra, che troppo aveva serrati addosso i nemici; senonchè, per questa medesima angustia del teatro della guerra, mettevano ogni volta a risico una parte dell'esercito assediante, che era su tutti i punti costretto ad una ugual vigilanza, e doveva, nella persona del suo comandante, viver sempre in sospetto.
      Per quella volta Antonello da Montefalco trovò il nemico, non pur preparato a riceverlo, ma così forte da ributtarlo al primo scontro. E peggio fu, quando dal colle dell'Argentara messer Pietro Fregoso mandò una grossa mano di fanti, che pigliassero in mezzo la cavalcata nemica. Rotte le ordinanze, gli uomini del Montefalco non pensarono più ad altro che a mettersi in salvo; e tale era la confusione, che finarini e genovesi per lungo tratto mescolati si spingevano sotto le mura, mettendo i custodi della porta nel bivio più doloroso a cui si trovassero mai soldati dabbene, o di alzare il ponte e chiuder fuori gli amici, o di tenerlo calato e per salvar cinquecento perdere i quattromila, e con essi dar la città in balìa dei nemici.
      Fortunatamente sopraggiunse il marchese Galeotto, che, vista la mala prova del Montefalco, fu pronto ad uscire, con quanta gente potè avere alle mani, in sostegno del suo capitano. Per tal modo, rattenuta la furia del nemico, i cavalieri ebbero agio a raccapezzarsi nel parapiglia, a riunirsi e mettersi in salvo.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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