Poco stante, il Maso, che oramai disperava di tornar salvo tra' suoi, entrava, col Tanaglino ai fianchi, nello steccato nemico. Colà gli fu dato veder da vicino que' brutti ordigni, donde tanta maledizione era uscita pur dianzi. Un uomo era là, dietro i pezzi, che agli atti e al contegno pareva il capo di quei ministri del fuoco. Alto di statura, di membra poderose, nero in volto per lo imbratto del sudore e della polvere, parea Satanasso in persona; e per tale lo avrebbe pigliato il Maso, a ciò aiutando il mal animo con cui si sogliono guardare i nemici, se in lui non avesse ravvisato un vecchio conoscente, e proprio uno di que' due forastieri, che egli aveva serviti tredici mesi addietro all'osteria di mastro Bernardo,
Si fermò allora, pensando tra sè come avrebbe potuto fare per dar negli occhi a quell'uomo. Intanto il Tanaglino, che non aveva le stesse ragioni per trattenersi, gli diede una spinta nelle reni.
Il Maso fu pronto a cogliere quella dolorosa occasione. Tanto è vero che tutto il male non vien per nuocere.
- Oh insomma! - gridò egli, voltandosi, tra piagnoloso e stizzito. - Che è ciò? Son forse un cane, da pigliarmi a pedate? Non voglio andare più oltre; voglio parlare a quell'uomo delle bombarde.
- Quell'uomo! - sclamò il Tanaglino, mentre raddoppiava la dose, - Messer Anselmo Campora, il capo dei bombardieri della repubblica, tu lo chiami quell'uomo?
- Sicuro! - rispose il prigioniero, cansandosi. - Lo chiamavo quell'uomo; ma ora che tu m'hai detto il suo nome, lo chiamerò come va.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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