Il Maso, senza volerlo, aveva l'orecchio di contro al sottile tramezzo. "Un prigioniero! a quattr'occhi!" Ragione per lui di aprirne due; e magari ci avesse avuto i cento del mitologico guardiano di Danae, che tanto li avrebbe messi tutti in opera, anco senza sapere il cattivo servizio che rese ad Argo il non averne adoperati che cinquanta nella sua famosa nottata.
Poco stante, il prigioniero entrò nella baracca di Anselmo Campora e i due balestrieri che lo avevano scortato si ritrassero fuori. Il paggio, intento a strofinare le sue stoviglie, dava le spalle al Maso; e il nostro curioso ne profittò per dare una sbirciata tra le commessure delle assi. Indi ripigliò la sua prima postura, ricacciando in corpo un grido di meraviglia, che era ad un pelo di uscirgli. Aveva in quell'attimo riconosciuto il Sangonetto; Maso avea visto Tommaso.
Non meno meravigliato di lui, il Picchiasodo inarcò le ciglia alla vista del prigioniero che gli domandava un colloquio.
- Ah, ah! - diss'egli, facendo bocca da ridere. - Il messere dell'archibugio?
- Ma sì, ma sì! - balbettò il Sangonetto, arrossendo. - Ve ne ricordate ancora? Ho piacere che sia così, per pigliar animo a dirvi un mondo di cose. Del resto, - soggiunse con un certo sussiego, - la mia presenza qui vi dirà che non ero soltanto un cacciatore da passeri.
- Eh via! - sbuffò il Picchiasodo, rincalzando la frase con una alzata di spalle. - Sareste per caso venuto a chiedere che io mi ripigli ciò che vi ho detto? Amerei meglio farvi dire dell'altro da quella bella milanese, che non avete voluto saggiare, nè dalla punta nè dal manico, all'osteria dell'Altino.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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