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Così dicendo, Anselmo Campora accennava il suo spadone, che pendeva dalla parete al posto della libbia pasquale. Ma il Sangonetto fece un gesto contrito, come per dirgli che non aveva bisogno di tanto; la qual cosa fece spianar le ciglia al suo ospite iracondo.
- Ah, meglio così! - soggiunse questi rabbonito, - Dicevamo dunque... cioè, no, ero per dirvi che sono molto contento di vedervi in buona salute. Me lo dice il vostro naso, che è sempre di un amabil colore. A voi certo piace il vin buono. Ma sedete, perdinci; quella è la panca; e adesso si metterà il becco in molle, perchè un mondo di cose, come ci avete da dirmene, si sa, non lo si snocciola così su due piedi e a labbro asciutto, come una mezza serqua di paternostri. -
E intanto che andava alla parete per un fiasco, Anselmo Campora borbottava tra sè:
- To', to'! Quest'oggi mi capita qua mezza osteria dell'Altino. Che vuol dir ciò? -
Il Sangonetto accettò il bicchiere che gli veniva profferto, e dopo averne bevuto un sorso per cortesia, due altri per farsi coraggio, così prese a incignare l'argomento:
- Giorni or sono avete ricevuto una lettera?... -
Il Picchiasodo, che stava allora per bere a sua volta, si trattenne, col bicchiere a mezza strada, e guardò il suo ospite con aria che voleva dirgli: tirate innanzi, risponderò poi.
- E nell'estate scorsa - proseguì il Sangonetto, - il vostro capitano generale non ne ha ricavato un'altra, con utili notizie e consigli, che ha incontanente seguiti?
- Ah, ah! - sclamò il Picchiasodo.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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