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      Vorrei qui proseguire il parallelo, confrontando l'Elena del Finaro a quell'altra dell'antichità; ma oltre a non essere Virgilio, siccome ho già detto, e come tutti sapevano, prima della mia confessione, non sono neanche Plutarco (e ci corre!); però, con quella discrezione, che dovrebb'essere la dote dei poveri ingegni, mi tiro in disparte e lascio operare a lor posta i miei personaggi.
      Or dunque avvenne che l'accordo dei traditori con messer Pietro Fregoso fosse compiuto la mattina del 5 febbraio, cioè a dire quando Giacomo Pico si diede prigioniero, in pegno di sicurezza, ai nemici. Il capitano generale credette allora che si potesse tentare l'impresa; e Giovanni di Trezzo accettò di condurla.
      Il Picchiasodo voleva pur dire qualcosa della fuga del Maso, che lo metteva in sospetto. Ma già, il dado era gittato, e pel solo dubbio che al castello fossero avvisati della trama, non si poteva mica rimandarne l'esito a più tarda occasione. Del resto, ogni indugio non avrebbe fatto altro che peggiorare le sorti dell'impresa. E poi, e poi, se il Maso aveva potuto cogliere a volo qualche indizio e andarlo a rifischiare al castello, la colpa non era tutta di lui, Anselmo Campora, che, cedendo a un moto compassionevole della sua ruvida ma schietta indole soldatesca, aveva pigliato a proteggere quel mariuolo del Maso? La conseguenza di questo ragionamento si fu che il Picchiasodo non rifiatò de' suoi dubbi ad alcuno, ma che egli promise a sè stesso di partecipare ai pericoli di quella notturna sorpresa.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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