Nessun rumore, nessun filo di luce, davano indizio di vigilanza nel castello. Don Giovanni di Trezzo incominciava a meravigliarsi della fortuna, che gli faceva guadagnare così agevolmente un premio di trecento scudi d'oro del sole, a lui promesso dal capitano generale se avesse condotta a buon fine l'impresa.
Il castel Gavone, lo rammenteranno i lettori, era munito di fosso da due lati soltanto, cioè da fronte e da tergo, dove perciò era stagliata ad arte la cresta del monte; laddove i fianchi, perchè fondati a scarpa sul masso o abbastanza forti di lor natura, non avevano alcuna di simiglianti difese.
Ad uno di questi fianchi, quello che guarda a levante, i soldati genovesi accostarono le scale. Giacomo Pico fu il primo ad appoggiarne una contro il davanzale di una finestra che metteva al secondo pianerottolo dello scalone interno.
- Che fai? - gli domandò il Sangonetto all'orecchio. - La finestra è chiusa, e a romperla daremo la sveglia.
- No; - rispose l'amico; - lascia fare. La notte scorsa ho tagliato una lista di piombo nella intelaiatura dei vetri. -
Poscia, voltandosi verso Giovanni di Trezzo, che gli stava sempre alle costole, soggiunse:
- Voi, messere, dovreste mandare una parte dei vostri uomini alle spalle del castello, là, dietro la torre della Polvere. Io stesso, appena entrato, andrò ad aprir loro la postierla.
- Sì, sì, non dubitate, compare! - gli rispose Giovanni di Trezzo. - Io salirò con voi e v'accompagnerò io stesso alla porta. Ma prima di tutto, aspettate; vo' fare un po' di rumore.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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