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      Io faccio la via. -
      E si volse alla finestra dell'anticamera di Galeotto, nella quale si erano in quel trambusto ridotti. Una inferriata diritta ne chiudeva il vano. Antonio Porro afferrò le spranghe e le scosse con tutto il vigore de' suoi polsi d'acciaio. Traballarono quelle; ma Antonio, dalla resistenza che avevano fatta, giudicò che troppi scrolli sarebbero bisognati a schiantarle, e in quelle strette ogni istante era prezioso, per la salvezza del suo signore.
      Perciò, mentre Galeotto lo venia guardando ansioso, e madonna Bannina colla sollecitudine dell'affetto e dalla paura stava annodando i pannilini della sua camera a foggia di corda, Antonio Porro si trasse indietro alcuni passi, raccolse le membra, strinse le pugna sul petto, e veloce, impetuoso, come un braccio di catapulta, si scagliò contro l'inferriata con tutto l'urto delle sue spalle poderose.
      Le sbarre percosse si piegarono in fuori, segno che parecchi dei capi si erano smossi dai loro alveoli di piombo. Un nuovo urto, non meno poderoso del primo, svelse a dirittura una parte dell'inferriata dal suo stipite di pietra.
      Intanto nelle mura del castello il frastuono cresceva. I soldati di guardia, udito il rumore degl'invadenti nemici, erano accorsi a difesa, e per le scale, pe' corridoi, dovunque gli uni negli altri s'imbattevano, era una pugna cieca e feroce.
      Antonio legò saldamente un capo delle lenzuola ad un tronco di sbarra, che era rimasto infitto nel davanzale, e senza far motto indicò la via di salvezza al padrone.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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