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      Immobile, ho detto, ma non come persona morta; che viva, e agitata da una fiera tempesta di affetti, la dicevano gli occhi fiammeggianti nell'orbite, le labbra rattratte da un moto convulsivo, il pugno chiuso sul seno, perfino il tremito del braccio teso che si appoggiava contro la spalliera del letto.
      Giacomo Pico rimase come inchiodato al suo posto. Quella donna era la Gilda.
      Fu un lungo silenzio tra i due, rotto soltanto dall'ansia dei loro petti frementi. Nessuno dei due abbasṣ gli occhi davanti agli occhi dell'altro. Si guatavano fisi, e le occhiate si scontravano, torve come folgori in un cielo tempestoso. Pure, nè l'uno nè l'altro avrebbe voluto trovarsi colà; tanto era triste la condizione d'entrambi, tanto sentivano nel lampo dei vicendevoli sguardi l'imminenza dello schianto che doveva lacerarli ambedue.
      Giacomo Pico tenṭ di svagarsi, inebriandosi della sua collera. Si morse le labbra a sangue, diede in un ruggito di fiera e fu per muovere contro di lei. Ma Gilda non gli diede il tempo da cị.
      - Sapevate di trovarmi qui? - gli disse ella con accento vibrato, quantunque oppresso dall'ira.
      La domanda poteva offrire uno scampo. Ma il Bardineto ricuṣ il giovarsene.
      - No! - rispose egli furente.
      - E allora?.... - griḍ di rimando la Gilda, mal chiudendo in quella sua reticenza la furia di mille rimproveri. - Badate, Giacomo Pico; voi sareste un infame. Per chi venivate voi qua?
      - Per lei! - rispose Giacomo, sbuffando a guisa di toro ferito.
      - Ah, uditelo, demonii d'inferno! - proruppe ella con voce di tuono.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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