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      - Perdio! - rispose Giovanni di Trezzo. - Fate come v'aggrada, Anselmo, poichè il capitano generale v'ha lasciato in governo il panno e le forbici. Ma io domanderò a voi che cosa si è sempre fatto delle spie, dei disertori e dei furfanti pari a costui. Per me, ve lo dico schietto; se fossi il mastro de' bombardieri, vorrei risparmiare una palla.
      - E sia; - ripigliò il Picchiasodo. - a voi dunque, signora Ninetta; preparatevi a ricevere in casa un briccone. -
      Il Sangonetto, come i lettori possono figurarsi, guatava con occhio smarrito ora il Picchiasodo ora Giovanni di Trezzo, e ansimava, sudava freddo e tremava; sopratutto tremava e gli battevano i denti, e gli si piegavano le ginocchia. I soldati, più assai che tenerlo stretto nelle ugne, dovevano reggerlo sotto le ascelle, che non avesse a cascare da senno, come un batuffolo di stracci.
      In quel mentre, il Falamonica si messe a gridare.
      - Ah, cane! eccolo là!
      - Chi? - domandò il Picchiasodo.
      - Vedete, messere; il vostro cucco, il vostro prediletto, il mariuolo che m'ha gettato nel pozzo. -
      Colui che il Falamonica segnava a dito, era per l'appunto il Maso, fatto prigioniero nella beltresca, riconosciuto da alcuni soldati pel fuggitivo del giorno addietro, e condotto da essi al Campora, colla speranza di averne la mancia.
      Anche il Maso riconobbe il Falamonica, e se fu contento di non averlo mandato a male, non si tenne altrimenti per salvo.
      - Son fritto! - diss'egli un'altra volta in cuor suo. - Non c'è più scappatoie. -
      Per altro, nell'avvicinarsi alla comitiva, l'animoso giovinotto volle ancor dire la sua.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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