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      - Ah, sia lodato il cielo, Falamonica! Siete voi, proprio voi, in carne ed ossa!
      - E nervi, per stringerti il nodo alla gola, assassino! - rispose il Falamonica, guardandolo a squarciasacco.
      Il Picchiasodo entrò in mezzo al discorso.
      - Furfante! - diss'egli, aggrottando le ciglia o ingrossando la voce. - Così hai risposto alle mie amorevolezze per te?
      - Scusate, padron mio riverito; - rispose il Maso, facendo faccia tosta; - ero prigione, ma non già sulla parola, nel campo vostro. Sono fuggito, per tornarmene quassù, a fare il debito mio di finarino e di soldato. C'è la storia del pozzo, lo capisco; ma il pozzo era poco profondo, e difatti, ecco qua il Falamonica, più sano, e credo anche meglio pasciuto di prima, mentre io non ho più messo altro in corpo, dopo la vostra ultima minestra. Messere Anselmo, fatemi impiccare, se ciò vi dà gusto e se è necessario alla vostra felicità; ma ditemi in grazia una cosa: ne' miei panni, ieri, che cosa avreste fatto voi?
      - Si domanda? Avrei dato fuoco alla baracca ed al campo; - rispose il Picchiasodo alzando la spalle e facendo cipiglio, per nascondere un sorriso che gli spuntava già sotto i baffi. - Dal resto, - aggiunse, - siccome io non ero ne' tuoi panni, ieri, non vorrei esserci oggi per tutto l'oro del mondo.
      - Già, capisco; - borbottò il Maso; - puzzano d'impiccato un miglio lontano,
      - Torniamo a noi, - ripigliò il Picchiasodo, - e sbrighiamo anzitutto quell'altro.
      - Messere, - disse il Falamonica sottovoce al padrone, - sapete che la bombarda è carica.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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