A Genova, tenendosi certa la vittoria, si era disputato nell'uffizio di Balìa se fosse ben fatto assaccomannare e distruggere in tutto la terra del Finaro; ma il consiglio deliberò (come dice quel candido uomo di monsignor Giustiniani) la parte più benigna ed umana. "E fu deliberato di dare a saccomanno solamente il borgo e di rovinare la fortezza del Gavone. E perchè si era promesso, in caso della vittoria, a Marco del Carretto e ai compagni la terza parte del Finaro, ovvero l'equivalente, fu deliberato di satisfarlo. E, ai nove di maggio, gli uomini del Finaro giurarono la fedeltà alla repubblica di Genova. E poi, ai quindici d'agosto, la repubblica li fece capitoli e grazie, come appàreno di tutte le predette cose autentiche scritture nell'archivio del comune. Tra queste larghezze è forse da notarsi il presente d'uno stendardo, che portava un leon d'oro in campo bianco, con questa leggenda tra le fauci: "Custos fidei sacrae populs finariensis".
Mario Filelfo, istorico di quella guerra per conto di casa Carretta, racconta che addì 24 di maggio, essendo già tratti a Genova come statichi cencinquanta dei più ragguardevoli cittadini, fu dato il Borgo alle fiamme e smantellato il castello. Ed altro narra eziandio, che non mi pare da credergli intiero; imperocchè, se di castel Gavone può ammettersi la rovina, almeno nelle parti più atte a difesa, non può credersi altrimenti che fosse distrutto il Borgo, ove il bellissimo campanile di San Biagio, la chiesa di Santa Catterina col suo convento di domenicani, la vôlta di Ramondo, e più altre fabbriche medioevali, fanno fede ai tardi nipoti di una certa moderazione, anche negli atti più vandalici, che erano pur troppo nel costume dei tempi.
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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
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