Niente d'ambizioso, niente di esotico nella famiglia delle conifere: pini, pini domestici a tutto spiano. Per quella seminagione abbondante, e convenientissima al terreno, tutta quell'arida costiera doveva inverdirsi in pochi anni, e quella sassaia diventar più folta d'alberatura, che non fosse la selva incantata, donde il pio Goffredo pensava cavar tante legna per uso di messer Guglielmo Embriaco, gran costruttore di torri mobili nell'esercito crociato.
Si era nel '46. I seminatori si misero all'opera: per una ventina di giorni quei greppi furono corsi e ricorsi, sterrata ogni grillaia, piantati da per tutto i bei pinòli dal guscio rossastro. Già si vedono, cogli occhi della mente, sbucar da terra i preziosi germogli; la fantasia salta a bisdosso del suo ippogrifo,
E dell'ombra ventura in cor s'allegra.
Ma ohimè, passano i giorni, passano i mesi, passano gli anni, e arrivederci coi pini. Fu detto allora dai savi del vicinato che quelli non erano luoghi da alberi; che la natura li aveva fatti calvi, e che i dottori di Genova ci avrebbero perso l'unguento. La ragione fu accolta da principio per buona; che cosa non fu detto dei signori scienziati? che erano capi scarichi, sognatori, buoni a imbrattar carte colle loro teoriche, ma poi, venuti alla pratica.... Già, s'intende, la pratica è il cavallo di battaglia di quanti sono che non sanno leggere nè scrivere. Noi in italia abbiamo diciassette milioni di uomini pratici.
Ma ci fu uno che non si contentò della spiegazione degli uomini pratici.
| |
Goffredo Guglielmo Embriaco Genova
|