Addio, Genova, addio bella, che amo con tutte le forze dell'anima. Bella, sì, bella, più ancora che superba; bella "di una certa bellezza il cui tipo si va perdendo oramai, insieme col vecchio costume; non madonna bisantina, impacciata nel manto grave d'ori e di gemme; non civettuola sgallettante sul marciapiede, con un occhio ai suoi fronzoli parigini e l'altro al colto pubblico, senza pregiudizio dell'inclita guarnigione; giovane madre, piuttosto, sempre giovane madre, sorridente e serena, il cui fascino costante, più che nello sguardo assassino, si dimostra in una gaia corona di bambinelli ricciuti. Addio Genova, addio città dove ho riso e pianto, dove ho amato e sofferto, dove mi sento stretto da tutti i vincoli più sacri, sian dolci od amari, delle rimembranze giovanili. Se io..... il che finalmente non sarà grave danno, nè per me, nè per altri.... se io....
- Signori! - gridò la "bella Ninin," affacciandosi all'uscio del terrazzo, - la diligenza è lassù alla svolta. -
L'amico si mosse; io lasciai a mezzo un saluto che minacciava di volgere al patetico, e lo seguii sulla strada.
Il maestoso carrozzone che doveva portarci a Chiavari e da Chiavari alla Spezia, si fermò cortesemente davanti all'osteria: Gerolamo Costa e Giovan Battista Parodi scesero prontamente, ci strinsero la mano, augurandoci tante belle cose; noi saltammo dentro, a prendere i due posti abbandonati; e fu un batter d'occhio.
II
Da Quarto a Firenze. L'entrata alla Tappa. Nella Galleria degli Uffizî
- Ci siamo, finalmente!
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