Ma sopra tutti, di fianco all'ingresso di palazzo Vecchio, torreggia il Buonarroti col David, colosso di marmo, che pare una creatura viva, un adolescente vero, tanta è la felicità dell'espressione e la più felice sproporzione di alcune parti, che indica maravigliosamente l'uomo non ancora formato nella giusta pienezza virile di tutte le membra. Tutto era bello, tutto stupendo, ovunque io volgessi lo sguardo. Che più? perfino il Biancone di piazza (così chiamano a Firenze il gigantesco Nettuno della fontana, opera dell'Ammannati) m'andò maledettamente a genio, sebbene ricordassi il sarcastico motto imprestato a Michelangelo, intorno allo spreco di un così bel pezzo di marmo.
La mia artistica curiosità, così potentemente risvegliata da tante bellissime cose, non sentiva più freno, nè di stanchezza nè di fame. Volli entrar subito in palazzo Vecchio, e, senza badar più che tanto al bellissimo atrio, volai alla sala dei Cinquecento; non già per vedere gli scanni, caldi ancora della sapienza di quattrocentocinquanta e più legislatori moderni, bensì per ammirare una Virtù che trionfa del Vizio, opera di Gian Bologna, della quale avevo letto mirabilia magna.
Il dottor Giovannetti, di Monte Fiore nelle Marche, mio carissimo collega nel culto delle Muse e di Bellona, che avevo allora allora incontrato ed abbracciato in piazza, mi fu introduttore e cerimoniere presso quella divina, ch'egli si ostinava a chiamare la Voluttà. E non mi parve che ragionasse male. L'arte dei nostri padri riusciva eccellente in questi controsensi.
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