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      Il marchese Ludovico di Pietramellara nasceva bolognese, ed il nome della sua famiglia era da parecchi secoli collegato a tutte le più nobili tradizioni della vita italiana. Si parlava bensì di un'origine francese della famiglia; ma quella era una storia d'antica data, e gli antenati del mio amico si sentivano già italiani fin dai tempi di Carlo II d'Angiò. Essi, almeno, pronunziavano "ciceri" come io e voi.
      Questo vi sembrerà un indovinello: ma eccomi a spiegarvelo subito.
      È noto come i francesi, calati in Sicilia sotto il regno di Carlo I d'Angiò, fossero diventati parte della popolazione, e come si fossero mescolati con essa, per alleanze, interessi e via discorrendo, in modo da non poterli a tutta prima sceverare da quella. Ora, a quest'opera di selezione intendevano per l'appunto i congiurati di Giovanni da Procida, che meditavano il Vespro famoso. Ma la faccenda era molto difficile.
      Ai tempi di Mosè, Dio stesso aveva ordinato di segnare con una ditata di sangue le case degli Ebrei, per distinguerle da quelle degli Egiziani, e agevolare in tal guisa il lavoro alla morte sterminatrice. Ma a Palermo non si poteva far capitale sopra una intromissione divina di quella fatta, gli Angioini essendo ben voluti dal Papa. Che fare adunque? A quali espedienti por mano?
      Dopo molto almanaccare, parve a qualcheduno di aver trovata l'astuzia, che tenesse luogo dell'aiuto celeste. E fu questa, che i Siciliani autentici dovessero chiedere per via, a quanti trovassero, di pronunziar la parola "ciceri.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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