La seconda tregua cogli Austriaci era cominciata; nè si poteva intendere ancora se fossimo a guerra finita, o se dovessimo proseguire le ostilità. Intanto, lasciate le teste di colonna sotto Lardaro da una parte e sotto Riva di Trento dall'altra, ci eravamo tolti dallo stare all'aperto, andando a cercare quello che in linguaggio militare si chiama l'accantonamento. Parte dei volontarii lo aveva sul territorio conquistato; il rimanente s'era allogato nei paeselli della Val Sabbia, da ponte Idro fino a Salò.
A noi dell'ottavo reggimento era toccata una mezza fortuna, quella di esser mandati a San Pietro, in Liano, bella eminenza alle spalle di Salò, che chiude da tramontana gli sbocchi della Val Sabbia, e vede da mezzogiorno e sopraggiudica le acque del Garda.
È lassù una bellissima chiesina, un po' disadorna dentro, ma ornata di fuori d'un vaghissimo loggiato, di due pietre sepolcrali con bassorilievi dei primi secoli dell'era cristiana, e sopra tutto di una veduta stupenda. Per giunta, c'era allora un arciprete, fior di galantuomo, con cui si stava volentieri a discorrere.
Dei molti luoghi che ho veduti nelle mie corse strambe, questo solo ha lasciato in me una profonda memoria e il desiderio di rivederlo. Dappertutto mi ha perseguitato il dolce pensiero di Genova: San Pietro in Liano, colla sua veduta del Garda, che mi raffigurava un lembo di mare, mi accarezzò per tre giorni le reminiscenze ligustiche; e mi pareva che là, in quella solitudine elevata, se ci avessi avuto chi so dir io, ci sarei vissuto contento mill'anni.
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