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      Non ne so nulla: ricordo bensì che venne con aria di molta compiacenza a dirmi: vedrà, tenente, ci staremo benissimo.
      - Andate, illustre amico, - gli dissi, - e fissate il calessino per me.
      - L'ho tentato, - rispose, - ma il fornaio non ha voluto darmelo a nessun prezzo.
      - Allora, requisitelo.
      - L'ho requisito, infatti.
      - Come! - esclamai. - Siete già andato dal sindaco?
      - Sicuro; e mi ha fatto l'ordine per il fornaio, e gli ha messo il sequestro sul calesse.
      - Belladonna! - gridai allora. - Voi portate un bel nome, e fate delle cose ugualmente adorabili. -
      Il mio padrone s'inchinò pudibondo, e le bianche ali d'una mia coperta di berretto scesero a sfiorargli un mio fazzoletto di seta azzurra, che portava mollemente annodato al collo, secondo l'usanza garibaldina.
      - Andiamo dunque a vedere questo calesse; - conchiusi. - Ho fretta di partire. -
      E s'andò difilati. Ma, giunto sulla faccia del luogo, trovai il fornaio che strepitava come un ossesso; il calesse esser suo e a lui necessario per le sue faccende quotidiane; noi non avere il diritto di requisirlo, e tanto meno allora, che era stato preso a nolo da un capitano, il quale gli dava venticinque lire, per una scampagnata che voleva fare appunto quella notte.
      Io gli risposi che non mi seccasse l'anima; che le venticinque lire gliele avrei date io, se col suo rifiuto non mi avesse costretto a venire con un ordine del sindaco; che viaggiavo per servizio, e che il servizio di un sottotenente andava innanzi al passatempo di un capitano.
      Ma il fornaio la tirava in lungo, e non senza un perchè. Il capitano doveva giungere tra pochi minuti a pigliarsi il calesse.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159