- E lei, signor tenente, non mi comanda nulla?
- Appoggio la raccomandazione del capitano; - risposi.
Così andai col capitano, e così fu fatta, insieme con la prima conoscenza, la più schietta amicizia tra noi. Smarriti in un reggimento che non finiva più (quattromila uomini a dir poco), egli comandante della ventiquattresima compagnia, io addetto allo stato maggiore e ufficiale d'ordinanza del colonnello brigadiere, era già molto che ci conoscessimo di nome. Ma quella sera e quel viaggio sul calessino sgangherato, con quel cavallo sparuto, fecero quel che non portano di sovente anni ed anni di vicinanza, ed io terrò sempre quel viaggio come una delle più care memorie della mia vita militare.
Di alto sentire, di modi eletti, ricco d'ingegno, festevole o severo secondo il bisogno, e non mai oltre il bisogno, Ludovico di Pietramellara era un felicissimo impasto di tutti quei pregi che formano il vero gentiluomo.
Ed io gli ho voluto un gran bene, a quell'omettino svelto, dalle spalle quadre e dal largo torace, bianco pallido in viso, colle guance un po' sfatte, i lineamenti regolari e finamente modellati, gli occhi azzurrognoli, con un lieve accenno di borse, appiattati dietro le lenti del pince-nez, radi i capelli sulla fronte alta, i baffi ancora discretamente biondi e leggermente arruffati, la berretta piantata alla brava fin sulla nuca, il sorrisetto costante sulle labbra carnose e bellissime, che davano una singolare impronta di soavità, insieme cogli orecchi piccini e il puro ovale del mento, ad una faccia alquanto più lunga che larga.
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Ludovico Pietramellara
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