Da San Pietro a Storo, con le debite fermate, ci fu tempo a ragionare di mille cose. Poi venne in campo la musica, e ognuno sa che due italiani, quando vien fuori la divina arte dei suoni, hanno il tema per un mondo di chiacchiere. E noi non chiacchierammo soltanto; cantammo, e il nostro spartito fu la Norma, quella sublime Norma che "vivrà quanto il mondo lontana." Specie quel tratto che corre da Vestone ad Indro, e che noi facemmo di notte, con un magnifico cielo azzurro stellato, ha udito tutte le cavatine, arie, duetti, terzetti, andanti, allegri e via discorrendo, del capolavoro di Vincenzo Bellini. Noi eravamo promiscuamente Norma, Adalgisa, Pollione, Oroveso, Flavio, Clotilde; il fiume Chiese, rumoreggiando lì presso, faceva la parte del coro.
E adesso, lettori miei, non istate a credere che io voglia condurvi di questo passo fino a Storo, per farvi assistere ai miei trionfi oratorii, che furono del resto tre fiaschi, poichè non salvarono nessuno dei miei clienti dal carcere. Mi è piaciuto di narrarvi questo episodio, per mostrarvi in che modo io stringessi amicizia con Ludovico di Pietramellara. Dopo di che, rifaccio speditamente la strada, e vi riconduco a Firenze, donde eravamo già. sulle mosse per andarcene a Roma. Se non ci siamo arrivati, sapete bene che non fu nostra la colpa.
IV.
Da Firenze a Terni. Formiche ed uomini. Cose antiche e moderne.
A Firenze, nelle trentadue ore che ci passai, vidi senza volerlo tutta la coorte degli uomini di stato, in fiore, in erba o in embrione che fossero; e il concetto che potei farmi di tutti i loro concetti fu questo, che nessuno sapeva un'acca di quel che avvenisse, o che dovesse ragionevolmente avvenire.
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