I se, i ma, tutte l'altre particelle e tutti gli altri avverbi dubitativi fiorivano le conversazioni universali. Faranno la rivoluzione a Roma? si debbono aiutare gl'insorti? il governo si muoverà? farebbe bene a muoversi? che cosa consiglia agli italiani la dignità nazionale? Queste erano domande; ma di risposte, nessuna.
Poveri uomini di stato! povero paese! Tutti quei valentuomini, archimandriti del senno pratico, balenavano tra il sì e il no, aspettavano una grossa notizia per voltarsi più da un lato che dall'altro, per lodare o biasimare, per isconfessare le pazzie dei rompicolli o per dire coraggiosamente: me, me, adsum qui feci.
Ma non balenavano, non pendevano incerti da un annunzio di giornale, da un indizio di eventi futuri, i giovani convenuti in Firenze da ogni parte d'Italia. Pareva che là si fossero data la posta tutti i volenterosi di Milano, di Venezia, di Torino, di Bologna, di Genova, di Parma, di Modena. Ad ogni svolta di strada ne compariva uno; e lì un abbracciarsi, un chiedersi novelle, non già della preziosa salute, ma degli amici comuni e del desiderio che potevano avere di giungere a lor volta in ballo; e sopra tutto un domandar da che parte fosse meglio passare, per andar a raggiungere i primi combattenti.
Non erano solamente i volontarii che si riscaldassero in questo modo l'un l'altro. L'esercito era composto di tutte le classi sociali; ognuno ci aveva amici, antichi compagni d'arme, congiunti di sangue. E il congiunto, il compagno d'arme, vi chiedeva: andate?
| |
Roma Firenze Italia Milano Venezia Torino Bologna Genova Parma Modena
|