Terni, con tutte le sue grandi memorie, non mi fece a prima giunta un gran senso. È una città di pianura, anzi di vallata, i cui edifizi si levano troppo poco da terra, e le vie non offrono alcuna veduta pittoresca. Incominciando dalla stazione, che è quindici minuti lontana dalle porte della città, vidi moltissima gente. Le vie erano affollate di giovanotti d'ogni parte d'Italia. Non un berretto rosso, non una camicia garibaldina; tuttavia, era facile indovinare, anche senza por mente alle discordanze allegre dei dialetti, che quella non era popolazione del luogo, ma uccelli di passo, futuro contingente della insurrezione romana.
- Qual è il migliore albergo? - avevamo chiesto al vetturino che conduceva le nostre membra lasse in paese.
- L'Hotel d'Angleterre, padroni belli; c'è poi la locanda d'Europa, e quella....
- Vada per l'Inghilterra; noi ci fidiamo alle tue preferenze, o nobile auriga; - interruppe il Pietramellara.
Così andammo all'albergo d'Inghilterra, o della regina d'Inghilterra, o delle armi d'Inghilterra, che bene non ricordo queste minuzie. Ma ohimè, quante volte il mio Ludovico non ebbe a pentirsi della sua precipitazione! Che vino, per gli Dei infernali! In quell'albergo esso era peggiore a gran pezza della sua acqua, che era pessima. Mi dicono che non sia più così; e ne godo per il prossimo mio della nuova generazione. Del resto, buona gente, i padroni d'allora: e non ci avevano che un difetto; quello di albergare tutti gli inglesi che passavano di là, e di prender tutti i loro avventori per inglesi.
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