Belle e savie donnine di Terni, così onestamente cortesi, voi ci avete fatto sentire ancora una volta che l'Italia è una, dall'Alpi al Lilibeo.
V.
Trecento uomini sulle braccia. La cascata delle Marmore. Poesia d'un viaggiatore e prosa d'un cicerone.
Mentre io spendevo il mio tempo in queste note statistiche, storiche e demografiche, il mio amico Burlando s'industriava più utilmente intorno al modo di partire da Terni. Il modo era trovato; ma bisognava aspettar due amici, Elia Schiaffino e Liberio Rombo, che, partiti dopo di noi da Genova, erano certamente in cammino per venirci a raggiungere.
- A domani, dunque; - disse il maggiore; - intanto che li aspettiamo, prenderemo lingua, vedremo da che parte sono andati gli altri genovesi, arrivati a Terni prima di noi.
Questi amici erano il maggior Mosto, i capitani Uziel, Cattaneo, Adamini, ed altri parecchi. Giunti a Terni due giorni prima, erano partiti da ventiquattr'ore per Rieti, conducendo un centinaio d'uomini, che il comitato di Terni aveva armati con vecchi fucili della benemerita guardia nazionale; fortuna questa che non potevamo sperare per noi, essendo il comitato rimasto all'asciutto.
La stessa mattina che noi eravamo scesi a Terni, altri drappelli di gente ragunaticcia partivano, sulle orme del drappello di Antonio Mosto, e noi avevamo ancora potuto vederli; male in arnese, senz'armi, senza un segno militare, nè berretto, nè camicia rossa, e quel che è peggio, senza conoscersi l'un l'altro, ufficiali e soldati. Questo è doloroso a raccontare: ma è storia, e non si muta.
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