Chiunque è stato a Terni in quei giorni, ed ha passato il confine, risponda per me.
Queste cose io vidi fin dal primo giorno, e dissi agli amici: non è così che si potrà andare a Roma. Avevo torto e ragione ad un tempo; torto, perchè tra i seimila che varcarono il confine c'erano duemila valorosi, degni soldati di Garibaldi; ragione, perchè i quattromila grami, cianciatori superbi dopo la vittoria di Monterotondo, lasciarono sempre soli alle busse i duemila, e parte al ritorno da Casal de' Pazzi, parte a Mentana, fecero quello che io forse racconterò, arrossendo, più tardi.
Parecchi ufficiali, nostri antichi commilitoni delle guerre passate, ci chiedevano: e voi? non fate un battaglione?
- No, - rispondeva il maggiore, - noi ce ne andiamo per nostro conto. Sciolti d'ogni vincolo, d'ogni malleveria, passeremo più facilmente e più allegramente il confine. -
Facevamo i conti senza l'oste, come ora si vedrà. Intanto, la partenza degli altri, mentre noi aspettavamo i due amici da Genova, ci serviva di lume, di guida, per la partenza nostra. I drappelli si avviavano a Rieti; prima di giungerci prendevano una scorciatoia, quella di Condigliano, che li conduceva a San Giovanni Reatino, donde muovevano per Torricella in Sabina; e di là, scesi nella vallata, risaliti i monti, ridiscesi da capo, sempre per orride strade, toccavano la meta desiderata, il confine pontificio.
Di quelle strade io ne conobbi parecchie, ardue, mal note, tali da farmi intendere come si potesse facilmente ingannare la vigilanza più assidua, più diligente, più accorta.
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