Monti di Toffia, vi ho in pratica. Dodici ore di marcia, e quasi tutta notturna, su per le vostre forre, in mezzo alle vostre nebbie, con un piede su sdruccioli sassi e l'altro nel vuoto delle vostre frane, mi faranno ricordare di voi fino a tanto ch'io viva. E non senza allegrezza, perbacco! L'uomo è fatto così: soffre e maledice; poi gode al ricordo di ciò che ha sofferto e maledetto. Del resto, una metà della vita non è forse tessuta di ricordanze? L'altra metà, come tutti sanno, è tessuta di desiderii.
Torniamo al racconto. Aspettavamo i due amici da Genova. Gli amici giunsero infatti, trentasei ore dopo di noi. Ma credete che si potesse partire? Niente affatto. Insieme con la lor grata presenza, gli amici recavano l'annunzio che a Genova si era messo insieme un drappello di circa trecento; che quel giorno medesimo doveva essere in viaggio, e che gli amici di Genova raccomandavano a noi quella spedizione d'uomini, affinchè trovasse modo di passare il confine.
La nostra maraviglia.... dico male, il nostro stupore fu grande, all'udire quella novità. O come, chiesi io, trecento volontarii possono esser partiti da Genova, da quella Genova dove cinque giorni fa si spiavano i passi d'ognuno di noi, si tenevano d'occhio le strade ferrate, si frugavano i vapori, perchè nessuno riuscisse a sgattoiarsela per Firenze?
Pure, la cosa era così, come i due nuovi venuti annunziavano. E dopo di loro giungeva una lettera di Genova, che per l'appunto ci dava notizie della spedizione. Sapemmo allora che un giorno dopo la nostra partenza, per l'incalzar degli eventi era cresciuto a dismisura l'entusiasmo dei cittadini; si voleva da tutti che il governo smettesse di fare il gendarme, si voltasse in quella vece a più virili propositi, e intanto lasciasse andare chi voleva andare.
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