Per mandare i fatti compagni alle parole, gli amici nostri avevano cominciato ad inscrivere tutti coloro che desideravano di correre al confine. Via Luccoli, dove aveva sede il comitato, era gremita di gente; al prefetto, nella confusione, erano caduti gli occhiali, e il degno gentiluomo non aveva veduto più nulla. Questo era su per giù quanto i cittadini volevano da lui; chiudesse un occhio, anzi, per colmo di cortesia, tutt'e due.
Queste ci parevano liete notizie per il paese; non già per noi, che dovevamo restarcene ancora due o tre giorni nell'ansia dell'attendere e nella difficoltà dell'ordinare tanti nuovi compagni. E inermi, poi! Basta, si sarebbe fatto come gli ultimi drappelli, andati sulle orme del Mosto; senz'armi, e ricevendo la promessa dal comitato di Terni, che ce le avrebbe mandate, come a quelli altri, a mala pena ne avesse.
Or dunque, addio libertà di correre all'impazzata, secondo il nostro talento! addio sognato viaggio notturno di re Manfredi alla volta di Lucera, col gaudio delle cose nuove che ci aspettavano, col rammarico delle dolci cose che avevamo lasciate, mistura di lieti e tristi pensieri, dond'esce e si spande una così larga vena di poesia! Armi, cartucce, vettovaglie, rattoppature di scarpe, ruolini di compagnia, situazioni giornaliere, questa sarebbe stata dunque la nostra poesia dei giorni seguenti!
Accenno qui il mio primo e involontario movimento di dispetto: ma mi piace di soggiungere che il giorno dopo, quando i nostri concittadini arrivarono, ebbi gran gioia di vederli, anzi di rivederli, perchè la più parte erano noti e cari commilitoni d'altre campagne.
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