Più tardi, quando li vidi all'opera, e ne udii le lodi dalle labbra del più grande capitano d'Italia, su quel colmo di collina verdeggiante che corre dall'osteria della Cecchina al Casale de' Pazzi (così ha nome il Monte Sacro nella topografia moderna) mentre le palle fischiavano e miagolavano spesse intorno a Lui sorridente bersaglio alle carabine dei mercenarii d'Antibo, mi tenni superbo di appartenere a quella eletta e popolana schiera genovese.
- Verranno dunque domani; - diss'io. - Ogni pensiero si rimetta a domani.
- Cras ingens iterabintus æquor; - soggiunse il Pietramellara, che non dimenticava in nessuna occasione le sentenze di Orazio.
- E allora, - ripigliai, - nunc vino pellite curas. Ma non dovrebb'esser vino del nostro albergatore. -
Questo dialoghetto erudito finì col proposito deliberato di andarcene a pranzo.
La mattina vegnente (perchè io non istarò a raccontarvi minutamente tutti i nonnulla di una sera passata a zonzo per le strade di Terni) prendemmo una vettura da nolo, capace di sei persone, senza contare una settima che poteva stare a cassetta col vetturino, e ce ne andammo a visitare la cascata delle Marmore, una delle sette meraviglie d'Europa.
Era il 17 di ottobre; giornata bellissima; cielo limpido, di zaffiro; aria tiepida, come di primavera. La via, piana per un bel tratto fuori delle mura, dove passa il fiume Nera, s'innalza a gradi, s'inerpica sul fianco di una montagna, di cui non rammento il nome, ma che somiglia moltissimo alla pinifera costiera per cui, nella mia Liguria, i cittadini di Cogoleto non possono vedere quei d'Arenzano.
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