Sotto di noi, ad una certa distanza, rumoreggia la Nera, già maritata al Velino, che le si precipita in grembo dall'alto delle Marmore; tra la fiumana e noi, seduto sulla cima d'un poggio, sta un gaio paesello che porta il nome di Papigno, famoso per la bellezza e il sapore delle sue pesche. A mano a mano che si sale, la vallata di Terni apparisce ciò che è veramente, e che, standole in grembo, non si può vedere nè godere; voglio dire un maraviglioso sfondo di prospettiva, con uno di quegli orizzonti vaporosi e caldi che sono una bellezza particolare della campagna romana.
Adesso, lettori umanissimi, eccoci arrivati. La via si fa piana, e ci si para davanti agli occhi una casina bianca, che porta sul suo lato più appariscente una scritta. Leggiamo e intendiamo che ivi abita il personaggio più importante dei luoghi; nientemeno che il cicerone della cascata. Smontiamo, ci mettiamo nelle sue mani, e fatti pochi passi nei vigneti incominciamo a sentire un rumore d'inferno. Il cicerone sorride al nostro stupore, e con un bel gesto classico c'invita a proseguire la via.
- Venite, - diss'egli, - venite, signorini, e vederete se cos'è. -
Di ciglione in ciglione, per sentieruoli campestri, si scende fino ad una balza, che è un vero posto avanzato sull'abisso. C'è un rustico edifizio quadrato, abbastanza somigliante a quelle tali cappelle svizzere che portano il nome di Guglielmo Tell e si vedono spesso riprodotte sui paraventi dei caminetti o sul fondo dei vassoi; quattro pilastri di mattoni, un murello intorno coi suoi sedili di pietra, un tetto a quattro acque, e nient'altro.
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