- Andate con Garibaldi? - mi chiese ella con voce argentina, mentre io stavo presso la finestra cavando dalla mia valigetta una rivoltella, per metterla in ordine.
- Sì, bella bambina: avete qualche commissione da darmi per il vostro innamorato?
- Non ho innamorato; - rispose; - ho un cugino con Menotti.
Così dicendo, s'era fatta rossa come una brace.
- Ditemi il suo nome, e lo saluterò per voi. E poi, quando saremo a Roma, - aggiunsi ridendo, - vi manderemo le dispense pel matrimonio. Penso infatti che si possa esser cugini e innamorati ad un tempo. -
Questi sono i pochi ricordi che io serbo della mezza giornata trascorsa a Rieti. Antichità non ho potuto studiarne; d'una statua mozza che chiamano Il Bamboccio, e che mi colpì veduta di sera, non so dirvi nulla. So che la città contiene forse diecimila abitanti, sebbene mostri d'essere stata fatta per molti di più; che in illo tempore si chiamava Reate ed era una delle più ragguardevoli città dei Sabini, insieme con Amiterno, Testrina, Cure, Nursia, Ereto, Trebula, Suffena, Mutusca e Nomento. Gran gente, i Sabini! Le loro figliuole hanno fatto Roma. Popolo singolare! La semplicità del costume di quei montanari dell'Appennino centrale, diffusi dalle sorgenti del Pescara alle valli della Nera, dell'Aniene e del Tevere, l'austerità del carattere, ed ogni maniera di domestiche virtù, li resero mirabilmente adatti a quel lavoro di tanta mole che fu il Romanam condere gentem. Non mi si venga a dire che Roma, la gran Roma, nascesse da un covo di ladri, discendenti di Enea.
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