Anche a Condigliano il Bernardini vegliava. Fu lui che ci guidò verso una casupola fuori mano, la cui rustica apparenza non era stata tale da chiamar gente. Lasciatici al basso, salì una scala esterna di pietra, infilò un uscio affumicato e stette forse due minuti a parlamento; quindi uscì fuori sul pianerottolo, per gridarci con accento festevole: vengano, vengano, ho trovato.
Il suo eureka fu più gradito di quello d'Archimede, e fummo in un batter d'occhio lassù, dove ci accolsero con lieti ed onesti modi due giovani contadine.
- Non c'è niente; - disse il Berbardini; - ma c'è una cucina, un paiuolo, delle cazzaruole, dei polli, delle cipolle, del pane...
- Ah! e voi dite che non c'è niente? Mi pare che con tutti questi ingredienti ci sia da pranzare in Apolline.
- Sì, ma il vino?... dei sedani per l'insalata?... Basta, troverò io tutto quello che manca, se queste due sposine mi aiutano. -
Le sposine non se lo fecero dire due volte. Col denaro -che mettemmo fuori, andarono a trovar vino, uova e formaggio. Il Bernardini, frattanto, aveva messo mano ai polli. Un'ora dopo, ci sedevamo in cinque o sei ad una tavola zoppa, ma colla sua tovaglia pulita, di ruvida tela di canapa, su cui era imbandito un pranzetto giocondato dall'amicizia e fatto più gustoso dalla salsa spartana che tutti conoscono, e che si chiama appetito.
Ricorderò sempre con affetto le due contadine di Condigliano. I lor volti, non molto belli, abbrustolati dal sole, risplendono ancora ai miei occhi per un'aria di soave bontà che teneva luogo di bellezza.
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