Erano poi di così gaio umore! I nostri quieti diportamenti in casa loro fecero si che esse sciogliessero la lingua ad un cinguettìo, il quale non ebbe fine che colla nostra partenza.
La più giovane di esse aveva nome Barbara. Vi ho già detto che son tutte barbare, queste Sabine. Era sposa da un anno, e portava ancora la sua collana d'oro a cinque o sei file, orecchini, anelli ed altri gingilli.
Mentre eravamo a tavola, giunsero i mariti, due robusti contadini, che tornavano dai campi col loro sargone addosso. Il sargone è una camicia di ruvida tela, che scende fino al ginocchio. I campagnuoli di laggiù la portano sulle altre vesti, non so se per ammorzare il caldo dei raggi solari, o per non insudiciarsi la giacca e il panciotto.
Quei due bravi Sabini, dopo essersi fatti pregare e ripregare, sedettero con noi e assaggiarono del nostro desinare, anzi dei rilievi, poichè noi già eravamo alle frutte. Così giunsero le due dopo il meriggio, e bisognò pensare alla partenza.
- Dove andate? - ci chiese Barbara.
- A prendere la benedizione del Papa; - risposi io.
- No, - ribattè ella, ridendo, - tu vai a prendergli Roma.
- E te ne spiacerebbe, se così fosse?
- A me? perchè dovrebbe spiacermi? Saremmo tutti uniti.
- Barbara, bocca d'oro! - gridò il Bernardini, che da due giorni sperava di far tutta d'un fiato la strada del Campidoglio.
- Che vi credevate? - saltò su a dire il marito. - Che Barbara non fosse italiana? Qui siamo tutti per Garibaldi.
- Ottimamente, se è così, - ripresi io, - perchè allora tu c'impresterai i due cavalli che ho veduto giù nella stalla.
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