... Come saremmo arrivati? Eravamo noi certi della via? e potevamo noi cercarla a tentoni, con trecento uomini disarmati sulla coscienza? Notate che degli insorti e dei fatti loro non avevamo da tre giorni alcuna notizia sicura; che le scarse ed incerte voci da noi raccolte lungo la strada recavano essersi Menotti allontanato da Montelibretti per andare alla volta di Percile. Quella marcia, se pure doveva credersi vera, che cosa significava? a che cosa accennava? allo scopo di avvicinarsi alle bande che dovevano giungere dagli Abruzzi, o ad uno stratagemma per ingannare il nemico? E che cosa dovevamo noi fare? in che modo diportarci, per raggiungere il giovane e valoroso generale? Così senz'armi, non c'era che un modo; non oltrepassare, ma rasentare il confine, da Scandriglia a Canemorto (un nome - - - - - cambiato poi in quello di Orvinio) e così, errando per monti e per valli, indovinare il luogo e il momento opportuno per farci innanzi.
Ora, se questo era l'unico disegno a cui si potesse metter mano, immagini il lettore come fossero lieti i nostri pensieri. Intanto i nostri compagni chiedevano armi; le chiedevano ogni momento a noi, quasi che noi potessimo cavarcele dalla testa come Giove si cavò Minerva coll'asta in pugno e lo scudo imbracciato, o dal nulla con un fiat, come Domineddio il cielo e la terra.
I buoni abitanti di Torricella, mossi a pietà del nostro stato, si auguravano di aver armi quante ne occorrevano per noi; frattanto, a testimonianza di buona volontà, ci offrivano quattordici fucili, cinque dei quali erano stati caricati due o tre anni innanzi, ma non avevano più i cappellozzi.
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