Arrivati a stento fin qua, dovremo starcene con le mani in mano?
Per quella notte non fu più il caso di dormire, Ludovico prometteva di essere il giorno appresso da noi: intanto ci mandava l'ordine di Menotti, che era quello di rimanere a Torricella, paese fuori mano, in attesa di nuove istruzioni.
La mattina del 23 fu malinconica assai; tanto più malinconica perchè dovevamo sforzarci di nascondere la nostra tristezza ai compagni e dar buone parole a quanti ci domandavano l'ora della partenza. Per tenerli a bada, cadeva in taglio la formazione delle compagnie. Il maggiore assegnò a ciascheduna i suoi uffiziali, nominò i sergenti, che dovevano formare a lor volta le squadre; bisogna che occupò fortunatamente una parte della mattinata. Era tanto di guadagnato.
Mentre i sergenti davano opera alla formazione delle squadre, noi ce n'eravamo andati poco discosto dall'abitato, verso la strada maestra, a salutare la quercia di Garibaldi. Così chiamano a Torricella una quercia, sotto la quale, nel 1849, il gran capitano si era riposato alcuni minuti, passando da quelle parti, dopo la eroica difesa di Roma. Quella quercia è sacra pei buoni abitanti di Torricella; e se ne tengono, come altri luoghi farebbero d'un monumento della passata grandezza, e l'additano con venerazione a quanti forestieri passano di là.
Ed hanno ragione. Il rispetto per ogni cosa che rammenti i grandi cittadini è una bella maniera di gratitudine, e in pari tempo un incitamento, un esempio. Noi, stirpe tralignata dal buon seme latino, se siamo ancora venuti a capo di cosa alcuna che porti il pregio d'essere raccontata ai futuri, dobbiamo darne merito alla virtù dei ricordi che hanno nutrita la nostra giovinezza.
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