In quella che noi andavamo, e la storica quercia ci conduceva col pensiero desideroso alla Caprera, dove il gran capitano certamente si doleva della ignavia italiana, ecco, si ode sulla strada maestra, che corre poco più sopra di noi, il rumore di una carrozza che passa veloce, e poco stante molte voci di nostri compagni, che ci avevano preceduti, gridano festosamente: "Garibaldi! Garibaldi!"
- Che è, che non è? - Garibaldi! è passato Garibaldi. - Ma come? - Or ora, in carrozza; era con Stefano Canzio; ci ha salutati; va diritto a Scandriglia. -
Non mi proverò a descrivere il tumulto dei miei pensieri, all'udir quelle nuove. Anche volendo, non saprei. So benissimo che c'era maraviglia e stupore, contento ed ebbrezza, e quasi mi pareva d'impazzire. E mi sovvenne ancora delle cattive notizie ricevute da noi nella notte.... Come tutto era di punto in bianco mutato! Ed era un uomo solo, che operava il miracolo.
Raccapezzatomi un tratto da quello stordimento, immaginai le cose che dovevano essere occorse nelle acque della Caprera. Stefano Canzio era venuto a capo del suo disegno: il Generale aveva delusa la custodia delle navi da guerra e aveva toccata la terraferma. Questo s'intendeva: ma come, giunto a Genova, o a Livorno, od altrove, aveva egli potuto proseguire la via? Certo, era passato per Firenze; ma che cosa era avvenuto colà? Caduto il ministero? o il governo aveva fatto di necessità virtù?
Tutte queste domande, ed altre consimili, mi giravano per la testa, si urtavano, si arruffavano, si confondevano, senza trovar punto risposta.
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