Se poi è una carabina (dolce femminilità di sostantivo!) la gioia e la sollecitudine sono dieci volte più intense; l'arme diventa una persona viva, si giunge perfino a metterle un nome. La carabina di un amico mio nella campagna del Tirolo si chiamava Ninetta; quella di un altro la Scherzosa; e così via, tutte quante avevano un nome, soave o terribile, serio o faceto, secondo l'umore dei loro innamorati padroni. Cosa che avviene ancora per le sciabole. Quella di un mio collega si chiamava la Sitibonda. - Buttala nel Chiese, gli diss'io quando ripassammo quel fiume a guerra finita; si caverà finalmente la sete. -
Tornando ai fucili e alla distribuzione fatta, una trentina d'uomini rimasero senz'armi; la qual cosa li addolorò grandemente. Li chetammo, dicendo loro che di là dal confine, o ne avremmo avuto da altri battaglioni meglio forniti, o alla prima occasione avrebbero raccolti i fucili dei morti.
Eravamo ancora in quelle faccende, quando giunse il Pietramellara. Egli aveva veduto il Generale, e portava la notizia che tutte le bande raccolte nei dintorni di Scandriglia si mettevano in marcia. Noi pure dovevamo andar subito al confine, ma senza passare per Scandriglia; e il nostro itinerario, scritto a matita sopra un pezzetto di carta, era questo:
- "Evitare il passo di Osteria Nuova, e passare i monti di Toffia sopra Carlo Corso; quindi per Carpignano scendere sullo stradale romano; colà deviare, innanzi di giungere al passo di Corese, prendendo la traversa che conduce a Montemaggiore.
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